Archivi Fotografici 1956 – 1986
L’esposizione è il pretesto di chi gli ha voluto bene, per raccontare il percorso umano e professionale di Umberto Facchini attraverso le sue fotografie.
La fotografia è stata una delle sue grandi passioni, vissuta come intimo strumento espressivo, non esattamente come professione.
Gli scatti ci rimandano alla personalità dell’uomo e dell’architetto e alle sue visioni, inquadrando in parte un periodo storico, trevigiano e internazionale, connotato da grande vivacità culturale.
Fotografia come filo conduttore, briciole, di tutta una vita, ma anche come momento di riflessione formale, legata alla sua professione di architetto e designer: la foto come feedback di un progetto a sottolinearne la credibilità, suo naturale prolungamento espressivo; e fotografia a volte dell’indicibile, quasi a voler fermare delle intuizioni, appunti che raccontano del suo stupore per la vita.
L’arco temporale, 1956-1986, è contrassegnato dagli scatti in b/n della campagna intorno a Dosson, dove è cresciuto, dalle dia del Delta del Po, suo luogo di astrazione, fino agli still life delle sue “creazioni”.
Un rapporto con la fotografia curioso, sperimentale, solo apparentemente professionale, mediato da una passione compulsiva per gli strumenti per fare le foto.
Rolleiflex, Leica, Hasselblad, Contax, Nikon, Sinar, Polaroid riconducono a quella sua inesausta voglia di precisione, di perfezione, di tecnologia avanzata in grado di dargli l’opportunità, tutta per sé, di cogliere ogni respiro, ogni battito, di catturare ogni possibile luce. Così anche la camera oscura, dopo lo scatto, per una ricerca formale mai esaurita.
Facchini non aveva l’abitudine di conservare e molto materiale, di fatto, l’ha gettato; d’altra parte il click, come detto, più che per la futura fruizione, sembrava gli servisse per incasellare quel preciso momento nella sua memoria ed esperienza espressiva. Facchini, uomo di segni, innamorato del bello, catturato infine dalla musica come forse più alta, indicibile e impalpabile delle arti umane, non era un fotografo ma certo un filosofo della fotografia.
E come tante persone di ingegno, visionarie, precorreva i tempi.
L’impostazione non antologica è motivata dalla volontà di suggerire un’interpretazione libera delle immagini.
Alberto Passi